VITA DA PORTIERE
Durante una partita ci focalizziamo sul portatore di palla e sul movimento di attacco. Guardiamo ai giocatori di movimento ma difficilmente ci soffermiamo sul portiere. Spesso il gioco è lontano da lui, e ci sfugge la sua solitudine. Una solitudine che a volte è fisica ma molto più spesso è mentale e psicologica. Un ruolo troppo diverso dagli altri, per nulla paragonabile, e che vive di regole in un mondo a sé.
L’errore di un giocatore di movimento lascia il tempo che trova e anche nel peggiore dei casi ce lo si dimentica in un battito di ciglia. Quello del portiere invece rimane perché il suo errore si traduce in un gol subito. Agli occhi della gente esiste solo quella imprecisione e tutta la fatica e la preparazione di giorni di allenamento sfumano in un attimo. Ogni passo sul campo è accompagnato dal peso della paura di un errore e non conta quanto tu sia esperto o forte nel gestire la cosa per ogni minuto della partita quel sottile alito di ansia sarà sempre vicino a te.
Dal mio posso solo raccontare il percorso di Federico, ma lo voglio fare con un occhio verso tutti i ragazzi che hanno deciso di interpretare questo ruolo. Ci sono giocatori che vengono sbattuti in porta per diversi motivi, ma ci sono quelli che, come Federico, hanno deciso di andarci di loro spontanea volontà. Probabilmente perché ho sempre giocato lontano dalla mia porta, non ho compreso subito la scelta di mio figlio quando a poco più di sei anni decise di andare tra i pali. Ricordo di essermela presa per una scelta che non ritenevo sensata. Sono stato uno stupido e ripensandoci oggi non riesco a perdonarmelo per non aver compreso.
In otto anni di questo ruolo ha passato di tutto; più volte additato come responsabile delle sconfitte della squadra ma raramente considerato come quello che ha portato al risultato, anche se paradossalmente nel suo caso sono stati incredibilmente di più questi casi in cui ha fatto la differenza. Gentaglia che urlava le peggio cose anche a giovane età e la mancanza di essere compreso da chi era in campo con lui. Eppure, otto anni dopo ancora va agli allenamenti con il sorriso sulle labbra.
Quello che io ho potuto vedere e vivere da fuori è una crescita di consapevolezza accompagnata da un costante turbamento interiore e dal timore di non essere all'altezza. Mi sono chiesto il perché e in qualche modo ho voluto mettermi nei panni di tutti quei ragazzi che in partita indossano un paio di guanti.
Ci siamo mai chiesti cosa vivono? Ci siamo soffermanti a pensare che affrontano allenamenti aggiuntivi e diversi dal resto della squadra? Come la vivono? Qual è il loro mondo? Quali sono i pensieri che gli passano per la testa ogni giorno della settimana e all'avvicinarsi di una sfida?
Dentro di loro esiste un suono che solo il portiere più sentire: il suono del silenzio. Il suono di parole che non trovano voce; il suono di storie raccontate a persone che sentono senza ascoltare.
E adesso che forse una piccola immagine di tutto questo vi sovviene, provate a pensare a cosa succede a un ragazzo di tredici anni che va in porta. Provate a pensare a tutti i “Federico” del mondo e a ragazzi non ancora adolescenti e senza i calli degli adulti a sopportare le cadute. Ragazzi che devono imparare a rialzarsi ad ogni caduta, e lo devono fare solo con le loro forze. Ragazzi che non sanno come si fa a tirarsi su, ma appoggiano una mano dopo l’altra per terra e puntandosi con le ginocchia si danno la spinta per rimettersi in piedi mentre magari fuori dal campo la gente li guarda come il problema e i responsabili di un risultato che non aggrada. Invece di incoraggiarli e aiutarli a rialzarsi trovano gente che cerca di spingerli ancora più a terra distruggendo non solo i sogni ma aumentando anche il suono del silenzio che vive in loro.
Non tutti i ragazzi saranno dei portieri. Non tutti sono predisposti atleticamente a questo ruolo. Pochi sono quelli in grado di sopportare tutto questo. Ma TUTTI meritano il rispetto per il coraggio di vestire una maglia che la maggior parte di noi rifiuta da codardo.
Ogni ragazzo che veste o ha vestito questa maglia ha il mio rispetto e la mia stima per aver avuto più coraggio di quello che ho avuto io.
Perché il portiere è l’unico giocatore in campo che non può permettersi di girarsi e guardarsi indietro!
L’errore di un giocatore di movimento lascia il tempo che trova e anche nel peggiore dei casi ce lo si dimentica in un battito di ciglia. Quello del portiere invece rimane perché il suo errore si traduce in un gol subito. Agli occhi della gente esiste solo quella imprecisione e tutta la fatica e la preparazione di giorni di allenamento sfumano in un attimo. Ogni passo sul campo è accompagnato dal peso della paura di un errore e non conta quanto tu sia esperto o forte nel gestire la cosa per ogni minuto della partita quel sottile alito di ansia sarà sempre vicino a te.
Dal mio posso solo raccontare il percorso di Federico, ma lo voglio fare con un occhio verso tutti i ragazzi che hanno deciso di interpretare questo ruolo. Ci sono giocatori che vengono sbattuti in porta per diversi motivi, ma ci sono quelli che, come Federico, hanno deciso di andarci di loro spontanea volontà. Probabilmente perché ho sempre giocato lontano dalla mia porta, non ho compreso subito la scelta di mio figlio quando a poco più di sei anni decise di andare tra i pali. Ricordo di essermela presa per una scelta che non ritenevo sensata. Sono stato uno stupido e ripensandoci oggi non riesco a perdonarmelo per non aver compreso.
In otto anni di questo ruolo ha passato di tutto; più volte additato come responsabile delle sconfitte della squadra ma raramente considerato come quello che ha portato al risultato, anche se paradossalmente nel suo caso sono stati incredibilmente di più questi casi in cui ha fatto la differenza. Gentaglia che urlava le peggio cose anche a giovane età e la mancanza di essere compreso da chi era in campo con lui. Eppure, otto anni dopo ancora va agli allenamenti con il sorriso sulle labbra.
Quello che io ho potuto vedere e vivere da fuori è una crescita di consapevolezza accompagnata da un costante turbamento interiore e dal timore di non essere all'altezza. Mi sono chiesto il perché e in qualche modo ho voluto mettermi nei panni di tutti quei ragazzi che in partita indossano un paio di guanti.
Ci siamo mai chiesti cosa vivono? Ci siamo soffermanti a pensare che affrontano allenamenti aggiuntivi e diversi dal resto della squadra? Come la vivono? Qual è il loro mondo? Quali sono i pensieri che gli passano per la testa ogni giorno della settimana e all'avvicinarsi di una sfida?
Dentro di loro esiste un suono che solo il portiere più sentire: il suono del silenzio. Il suono di parole che non trovano voce; il suono di storie raccontate a persone che sentono senza ascoltare.
E adesso che forse una piccola immagine di tutto questo vi sovviene, provate a pensare a cosa succede a un ragazzo di tredici anni che va in porta. Provate a pensare a tutti i “Federico” del mondo e a ragazzi non ancora adolescenti e senza i calli degli adulti a sopportare le cadute. Ragazzi che devono imparare a rialzarsi ad ogni caduta, e lo devono fare solo con le loro forze. Ragazzi che non sanno come si fa a tirarsi su, ma appoggiano una mano dopo l’altra per terra e puntandosi con le ginocchia si danno la spinta per rimettersi in piedi mentre magari fuori dal campo la gente li guarda come il problema e i responsabili di un risultato che non aggrada. Invece di incoraggiarli e aiutarli a rialzarsi trovano gente che cerca di spingerli ancora più a terra distruggendo non solo i sogni ma aumentando anche il suono del silenzio che vive in loro.
Non tutti i ragazzi saranno dei portieri. Non tutti sono predisposti atleticamente a questo ruolo. Pochi sono quelli in grado di sopportare tutto questo. Ma TUTTI meritano il rispetto per il coraggio di vestire una maglia che la maggior parte di noi rifiuta da codardo.
Ogni ragazzo che veste o ha vestito questa maglia ha il mio rispetto e la mia stima per aver avuto più coraggio di quello che ho avuto io.
Perché il portiere è l’unico giocatore in campo che non può permettersi di girarsi e guardarsi indietro!