Questo progetto vede la luce ora dopo aver sedimentato per oltre un anno dalla sessione di lavoro. Ha avuto, e io con lui, necessità di tempo e di profonda analisi per superare le barriere e il dolore interiore che si è portato dietro dal momento della sua realizzazione ad oggi. Per lungo tempo è sopravvissuta in me l’idea di non fargli mai vedere la luce, troppo forte il significato che aveva assunto per me.
Nel pieno del progetto Fantasmi e in una profonda fase di introspezione personale ho avuto necessità di un confronto e di un paragone stretto tra la sofferenza interiore che provavo e quella altrui. Era per me necessario pormi da osservatore di un evento di emersione del dolore che si libera dalle costrizioni della razionalità.
Sara è una persona speciale nel mio percorso, sia a livello fotografico, sia e soprattutto dal lato umano. Fin dalla prima volta che ci siamo incontrati e conosciuti si è instaurato un rapporto umano e di amicizia molto forte, supportato da un filo invisibile di pensiero e reciproco rispetto. Ho chiesto a lei di aiutarmi nello sviluppo di questo mio progetto, sapendo quanto stesse passando in quel periodo della sua vita.
Le chiesi di raccontarmi con una performance fisica ed emotiva quello che stava provando per la perdita della madre. Volevo essere spettatore di questo suo lavoro e immortalarlo in un racconto fotografico che rendesse giustizia al suo coraggioso atto di narrazione e base per un mio personale e ulteriore lavoro introspettivo.
Non immaginavo che tutto questo sarebbe andato oltre consentendoci di dar vita a un lavoro molto più profondo e articolato.
Quel pomeriggio tutto era in sintonia. Ci rivedevamo dopo qualche mese di lontananza ma sembrava che ci fossimo visti il giorno prima. Tutto ci portò da principio lontano dalla fotografia e ogni cosa era in sintonia. Ci sedemmo al tavolino di un bar e ci raccontammo, ognuno per la nostra parte, quella che era stata la nostra vita fino a quel momento. Ho avuto la fortuna di ascoltare un racconto bellissimo e accorto pur nel dolore degli eventi successi, e la più grande fortuna di sentirmi dire che alcune cose le aveva dette solo a me. E ricambiai facendo altrettanto.
La sessione fu conseguenza di questo scambio e avvenne quando il momento era quello giusto per trasformare il racconto in immagini. Ma non andò per come me lo ero immaginato.
Sara, realizzando una compilation su spotify, scelse la musica che voleva fosse la colonna sonora della sua performance durante la sessione di scatti. Scelse ogni cosa, ogni particolare al di fuori della luce che fu una mia scelta narrativa. Luce in contrasto con il buio cupo del dolore fu la mia scelta e per il resto mi limitai a pormi come spettatore di quello che stava avvenendo.
Le prime note accompagnarono i primi scatti e gradualmente intervenne in me la sensazione che qualcosa di forte stava emergendo impregnando la stanza e quel momento. Fui inglobato nella performance, diventando spettatore e presenza allo stesso tempo. La musica entrava in me e nei miei scatti guidando la composizione insieme alla gestualità di Sara.
Quando avvenne non mi resi subito conto di cosa era. Il primo pensiero fu quello che avessi perso le impostazioni dell’obiettivo o che la macchina fotografica avesse iniziato a fare le bizze. Guardavo nell’oculare e tutto era sfocato. Ma erano i miei occhi a vedere in quel modo. Lucidi e colmi di lacrime. Emerse tutto di botta. La sensazione di vuoto lasciata dalla scomparsa di mio padre andava a braccetto con il dolore raccontato da Sara con il suo corpo. E poi i fantasmi emersero uno a uno.
Questo cambiamento ha imposto una nuova visione del progetto che stavamo realizzando. Decisi che non potevo essere solo spettatore ma anche parte integrante del progetto. In maniera quasi inconscia iniziai ad alternare scatti nitidi con scatti volutamente portati fuori fuoco. Volevo che le persone che avrebbero guardato questo racconto avessero entrambi i punti di vista della performance di Sara; il suo dolore e il mio. Due punti di vista diversi dello stesso momento, come due pensieri sovrapposti e due sofferenze che diventavano una. Fu durante quella sessione di scatti che feci mio il pensiero che ogni dolore e una parte interiore della personalità che emerge dal profondo del nostro Io. Ogni dolore è uguale e diverso nello stesso momento. Quel pomeriggio tutto era in sintonia e risuonava nel profondo.
Il singolo progetto divenne tre progetti contemporaneamente e anche questo ha avuto impatto sulla tempistica di realizzazione per la pubblicazione. M&G si scompone in due parti principali che sono “Mother”, la quale racconta la performance e la sofferenza di Sara, e “Ghosts” la quale riferisce al mio punto di vista come osservatore e fotografo nel momento in cui le parti interiori hanno iniziato a risuonare assieme appannando l’immagine finale.
Le immagini dei due progetti esposte insieme in una sequenza di dittici formano il passaggio principale della narrazione, consentendo all’osservatore di vivere nello stesso momento i due racconti di quel pomeriggio dove tutto era in equilibrio.
Le due narrazioni distinte potete trovarle nella pagina di Mother&Ghosts